venerdì 5 marzo 2010

Come vogliamo chiamarlo

Una premessa. Dopo l'ultimo post dell'anno, in cui ero quai convinto che peggio non poteva andare, ho vissuto i primi due mesi del 2010 in apnea: stava andando peggio.
Dopo la scoperta di un sistema di corruzione e appalti truccati che gravita intorno (e dentro...) al fiore all'occhiello del, purtroppo per noi, presidente del consiglio italiano, la Protezione Civile (ma non solo...), dopo il senatore del partito al governo (ahinoi...) che prendeva ordini dai boss della 'ndrangheta, dopo la prescrizione di un reato di corruzione commesso dal solito, sempre purtroppo per noi, presidente del consiglio, spacciata al TG1 come un'assoluzione, dopo la farsa delle liste elettorali illegali (firme false e presentate in ritardo) dei candidati del partito al governo, dopo l'approvazione di una riforma (nel silenzio generale) che modifica l'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, facendoci tornare indietro di sessant'anni almeno, dopo tutto questo abbiamo ascoltato uomini, giornali e tg di governo (quasi tutti) minacciare (il Capo dello Stato) con il ricorso alla forza ("Siamo pronti a tutto" ha detto il nostalgico di turno) se non si fosse trovata una scappatoia per riammettere le liste elettorali taroccate. La risposta alla domanda del titolo verrebbe da un editoriale di oggi, sulla prima pagina de "il Fatto Quotidiano", a firma di Antonio Padellaro, che cito:
<< Un quotidiano non certo estremista come La Stampa ha scritto che un intervento governativo per ovviare agli errori grossolani del partito del premier sarebbe “abominevole”. E che si passerebbe a un “regime vero e proprio”. Chiamiamolo fascismo e facciamo prima. >>


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